Conoscere le cause di degrado del marmo è essenziale per poter impostare programmi per la conservazione delle opere ottenute da questo.
Possono essere diverse, e di diversa tipologia.
Degrado del marmo e della pietra, per cause ambientali.
Il marmo, come tutte le rocce calcaree, ha poca resistenza alle aggressioni chimiche, specialmente se soggetto ad acidi.
Esposto all’aperto, ed alle intemperie, è soggetto a degrado per le piogge acide.
Queste possono veicolare elementi quali acido carbonico, acido nitrico ed acido solforico, che si formano per ossidazione e dissoluzione in acqua degli ossidi gassosi (CO2, NO2 e SO2), inquinanti atmosferici ed ambientali.
Il carbonato di calcio (CaCO3), principale componente del marmo, è insolubile in acqua.
Le piogge acide possono però reagire chimicamente con esso, trasformandolo in sali solubili, asportabili per dilavamento con perdita di materiale e corrosione superficiale.
La pioggia è sempre leggermente acida, a causa dei gas presenti nell’atmosfera.
La degradazione del marmo procede lentamente, con tempi dell’ordine dei secoli.
croste nere.
Attualmente, l’inquinamento produce acidi molto più forti, sia pure in piccola quantità.
La degradazione allora può essere più o meno veloce, a seconda del grado di inquinamento.
Reazioni comuni che portano al degrado delle opere di marmo o di pietra calcarea.
Carbonatazione: Il diossido di carbonio CO2 che si trova normalmente nell’aria, leggermente acido, dà alla pioggia un ph di circa 6.
Può lentamente attaccare il carbonato di calcio e trasformarlo in bicarbonato di calcio, solubile in acqua: CO2 + H2O + CaCO3 → Ca(HCO3)2.
Solfatazione: Il carbonato di calcio reagisce con l’acido solforico, presente nelle piogge acide, formando solfato di calcio: CaCO3 + H2SO4 → CaSO4 + CO2 + H2O.
Il CaSO4 (solfato di calcio) è circa mille volte più solubile in acqua del CaCO3.
Pertanto l’acqua piovana, per dilavamento, asporta il materiale degradato, cancellando così i lineamenti del manufatto.
Formazione di croste nere: sono costituite da cristalli di carbonato di calcio, di nitrato e solfato di calcio.
Queste sostanze, che si formano per azione della pioggia acida sulla superficie del marmo, sono sciolte nella pioggia.
Quando, per evaporazione dell’acqua, si ridepositano, inglobano particelle carboniose nere.
capitello con croste nerecapitello ripulito; la luce ne falsa la cromia.
Le patine, i film superficiali che ricoprono le opere, ne sono parte costituente; prima di iniziare qualsiasi intervento manutentivo o di restauro, conviene analizzarle con attenzione e definirne la composizione, integrità e funzionalità.
Patine naturali ed artificiali
Possono essere artificiali o naturali, depositatesi sulle superfici con il passare del tempo.
Esempi di patina artificiale, la lucidatura, e naturale:
Possono essere originarie o successive.
Nel primo caso sono state applicate dall’artista.
Spetta a noi capire se la loro è una funzione estetica, per valorizzare l’opera, attribuendole una profondità di campo apprezzabile visivamente, o protettiva, per mantenere l’opera nel tempo.
Possiamo trovare diverse patine stratificate, con funzionalità diverse. Possono essere lacunose ed a copertura superficiale parziale.
Possono essere state applicate successivamente per ripristinare cromìe e protettivi deterioratisi nel tempo; le definiamo consone e pertinenti l’opera o non compatibili.
In questo caso se ne può valutare la rimozione.
La Direzione Lavori prenderà atto dell’effetto estetico, del grado di protezione o danneggiamento, della testimonianza storica, dell’integrità, per definirne l’eventuale conservazione o rimozione.
Quelle di origine naturale si presentano spesso come accumuli di polveri varie e/o incrostazioni di sporco di diversa tipologia.
Sarebbero da rimuovere, ma occorre considerare vari fattori: se si sono compattate o inglobate con la superficie sottostante, la loro rimozione comporterebbe anche l’asportazione di parte dell’opera.
In questo caso conviene assottigliare gli strati invasivi, fermandosi prima di intaccare le superfici: meglio una cattiva pulitura che uno spatinamento o danneggiamento di un’opera.
Gli interventi di restauro sono finalizzati alla conservazione di un’opera, quindi cercheremo di salvaguardare le patine originarie.
Interverremo su quelle degradate per rivitalizzarle ripristinandone le funzioni -oppure ricostruendole se non è possibile la soluzione precedente-, ne integreremo le lacune, ne applicheremo di nuove per proteggere le superfici aumentando il periodo di vita degli oggetti.
Patine di diversa tipologia
Abbiamo scritto che una delle funzioni delle patine è di protezione delle superfici, dalle possibili erosioni nel tempo, dall’attacco di insetti, batteri o virus: una patina è uno strato isolante, quindi inibisce il contatto con gli agenti atmosferici.
Per quanto possano essere di difficile alterazione e durature, la loro esistenza è comunque notevolmente inferiore a quella dell’opera, tanto da poter essere sacrificabili: in caso di alterazione del film protettivo, lo si asporta e se ne riapplica uno analogo, con le stesse funzionalità.
La lucidatura di un mobile, col tempo, e l’esposizione a fonti luminose, tende ad ingiallire, ma al contempo preserva la cromia del legno dallo stesso degrado.
A Bologna e provincia per la costruzione di palazzi avevamo abbondanza di argilla ed arenaria.
Con la prima si costruiscono mattoni, la seconda è una pietra plasmabile, ma non molto resistente: è di origine sedimentaria, risultato di pressione, e tende a sgretolarsi.
I palazzi bolognesi sono realizzati quasi interamente con questi materiali.
Patine su materiale lapideo
Per abbellire le superfici e preservarle nel tempo si sono adottati procedimenti di sagramatura, per i mattoni, e scialbatura per le arenarie: nulla veniva lasciato a vista.
In queste immagini vediamo esempi di sagramatura, a sinistra, di scialbatura sui capitelli a destra.
La sagramatura veniva ottenuta con lo sfregamento di mattoni non completamente cotti e calce sulle pareti fino ad ottenere uno strato uniforme di polvere di cotto e calce di qualche millimetro.
Successivamente con l’applicazione di ferri caldi si accelerava la carbonatazione superficiale della calce ottenendo in brevissimo tempo un film superficiale molto resistente, equivalente alla pellicola che troviamo nel guscio delle uova.
La scialbatura la otteniamo applicando una maltina, o boiacca, composta di unamiscela di polvere di arenaria, sabbia fine, calce aerea ed eventualmente un pigmento per ottenere il colore giallogolo tipico della stessa pietra.
In questo modo rivestiamo l’arenaria con un film avente le stesse caratteristiche estetiche, ma che può degradarsi preservando la pietra sottostante.
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