Recensione della mostra ‘Bartolomeo Cavarozzi a Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, dal 6 dicembre 2017 all’8 aprile 2018.
Sorgente: Bartolomeo Cavarozzi, un caravaggesco elegante tra Genova e la Spagna in mostra a Palazzo Spinola
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Il consolidamento è importante e necessario quando in un manufatto o un’opera, siano presenti componenti degradate, localmente o completamente.
Il tempo, cattive condizioni di mantenimento o stoccaggio, possono compromettere la coesione dei leganti in materiali composti.
Parassiti animali o vegetali, possono intaccare la struttura molecolare dei costituenti l’oggetto.
In questi casi il primo intervento da eseguirsi è il consolidamento delle parti ammalorate, con iniezioni di resine o leganti specifici. Queste operazioni possono essere eseguite, in casi particolari, anche per immersione e pressione.
Tale consolidamento prolunga la vita degli oggetti, se questi non dovranno essere soggetti a sollecitazioni dinamiche.
In altri termini, non riporta le sue caratteristiche alle condizioni originarie, anche se ne rafforza le strutture molecolari.
Si può intervenire con resine acriliche o alifatiche, leganti silicei, o altro, selezionando il prodotto più consono all’opera su cui si deve intervenire.
Per il legno, possiamo utilizzare una resina acrilica, il paraloid b72 oppure una resina alifatica, regalrez 1126.
Entrambi si presentano come granuli secchi, da sciogliere: il paraloid in solventi chetonici o acetati, il regalrez in solventi a bassa polarità tipo ligroina, limonene, essenza di petrolio, white spirit.
Il consolidamento ottenuto con Regalrez 1126 non ha la stessa durezza e resistenza di quello ottenuto con il Paraloid B72, ma potrebbe essere sufficiente per manufatti che non richiedano un elevato rinforzo.
Possono essere preferibili le proprietà di elevata stabilità del consolidante e la facile rimozione1 con solventi a bassa polarità.
Un altro vantaggio è dato dalla sua scarsa tendenza all’ingiallimento e dai suoi solventi a bassa polarità che comportamento una minor diminuzione di umidità nelle parti soggette e limitrofe alle applicazioni, lasciando le superfici più omogenee e meno stressate di quanto non facciano i solventi necessari per diluire il paraloid.
Anche se possiamo utilizzare queste resine su materiali diversi dal legno, abbiamo la possibilità di sceglierne altre più consone.
Una resina piuttosto versatile è il primal B60A, soluzione acquosa a base di resina acrilica (etilacrilato, metilmetacrilato).
È utilizzabile in varie diluizioni, e per diversi scopi, dal consolidamento ad un effetto protettivo (con concentrazioni basse per evitare il formarsi di pellicole lucide).
Per i materiali lapidei abbiamo la disponibilità di etilsilicato e di silcol 30.
Il primo è un composto a base di silicati in solvente isopropilico. Facile da applicare è fortemente idrorepellente, per cui le superfici sottoposte al trattamento devono essere perfettamente asciutte.
Occorre proteggerle dopo l’intervento, per un periodo piuttosto lungo, da contatto con pioggia o acqua.
Meno accorgimenti sono necessari per il silcol, una dispersione colloidale di nano particelle di silice (SiO2) in acqua.
Qui è possibile consultare la scheda per l’uso del paraloid o scaricarne una più aggiornata.
[1] Un’eventuale rimozione del paraloid sarebbe alquanto complessa, teoricamente è possibile in un bagno di solventi a pressione.
Equilibrismi è la mostra personale dell’artista Valentina Crasto che porterà le sue illustrazioni e la sua “textile art” alla Bottega Dingi di Bologna
Sorgente: Equilibrismi | Mostra personale di Valentina Crasto alla Bottega Dingi – ziguline
Panoramica sui principali progetti dedicati alla tutela, conservazione, restauro, fruizione e valorizzazione del patrimonio sommerso avviati in questi ultimi dieci anni.
Sorgente: Archeologia Subacquea: fruizione e valorizzazione del Patrimonio Sommerso – Archeomatica
Alcune macchine agricole, patrimonio di un museo etnografico, sono state restaurate durante un laboratorio didattico che ha coinvolto gli organizzatori del museo stesso.
Gli interventi sono stati eseguiti su macchine collocate all’aperto.
L’esposizione a raggi solari ed intemperie, prolungatasi nel tempo, aveva conseguito un pessimo stato di conservazione di queste.
Incrostazioni di ossido, sporco e grasso erano presenti sulle superfici e negli ingranaggi; le parti in legno si erano degradate al punto da provocare rotture in alcuni punti, attacchi di insetti xilofagi e habitat preferito per altre specie: muffe e licheni erano individuabili su quasi tutte le superfici del carro.
La parte della collezione alloggiata all’interno del museo non presentava alcun tipo di problema, la manutenzione era curata ed attenta.
Gli interventi si sono svolti secondo un programma, sviluppato durante un’esperienza precedente, che prevedeva anche l’acquisizione di:
Ci sono state sessantasei giornate di presenza dei restauratori, nell’arco di quattordici mesi.
Il progetto iniziale é stato modificato in corso d’opera considerando le diverse condizioni espositive: all’aperto, con problematiche diverse da quelle solite:
-> si sono analizzati i percorsi dei venti e delle perturbazioni per predisporre adeguati ripari;
-> è stato dato spazio all’analisi delle patine e la loro importanza per la protezione dei manufatti, sia lignei che metallici;
-> sono stati eseguiti interventi anche massicci di restauro per rendere la capacità operativa alle macchine. Hanno coinvolto sia i meccanismi metallici, che la struttura lignea.
-> particolare attenzione è stata dedicata al consolidamento del legno, con resine acriliche
Oggetto degli interventi sono stati:
-> un aratro in ferro con vomere in acciaio, particolarmente ossidato con incrostazioni di terra, grasso rinsecchito ed ossido sulle parti mobili. Alcune rotture dovute ad un traino errato.
-> una pompa da cantina, con struttura in legno, la pompa in bronzo e gli ingranaggi in acciaio. La struttura lignea era malmessa, due piedi erano rotti; gli ingranaggi erano coperti da incrostazioni.
-> un carro in legno, a due ruote. Quasi interamente in legno, con alcuni inserti metallici in lega ferrosa.
-> una seminatrice tutta in metallo;
-> una seminatrice con cassetto portasemi con il coperchio in legno, molto degradato;
-> un aratro in legno con lama metallica;
-> un ventilatore in legno con meccanismo di ventilazione in lega ferrosa. In questo caso gli interventi di restauro sono stati completati dai soli allievi;
-> un calesse, in legno e leghe ferrose, gravemente danneggiato, é stato recuperato e rimesso in funzione.
Per ciascuna delle macchine é stato approntato uno specifico piano di manutenzione, gestito ed eseguito dai volontari presenti agli incontri.
– aratro, in metallo; -foto-
– pompa travasatrice da cantina, in metallo su supporto ligneo; -foto-
– carro in legno in uso nelle colline, a due ruote (brôc); -foto-
– seminatrice in metallo; -foto-
– trinciaforaggi in metallo e legno. -foto-
Sono state affrontate le esigenze del recupero funzionale di metalli e legni. In particolare
per i metalli:
– pulitura manuale, con abrasivi, lasciando intatte le patine colorate presenti sulle superfici, alternando con applicazioni di acido tannico;
– pulitura con sabbiatrice e polveri vegetali sulle parti che non presentavano tracce di colori;
– stabilizzazione dei processi di ossidazione con acido tannico al 5% in soluzione idroalcolica, ripetendo il trattamento finché non sono state eliminate le tracce di ossidazione;
– trattamento protettivo con cera amber al 5%, due applicazioni a caldo, rimuovendone gli eccessi con spazzole morbide.
per il legno:
– consolidamento delle parti deteriorate con imbibizione di paraloid B72S al 10-12% in acetone, fino a completo assorbimento, ripetendo successivamente fino a rifiuto;
– risanamento delle rotture con innesti lignei, in essenza analoga a quella in opera (prevalentemente castagno o quercia, ma anche faggio o acero), incollati con colla bianca tipo “one shot” opportunamente pressati.
– ricostruzione delle parti mancanti con essenze lignee analoghe a quelle in opera;
– pulitura con soluzione basica, ammonio bicarbonato al 3% in acqua demineralizzata, spugne, bisturi e raschietti;
– patinatura degli innesti con brugnolino color noce variamente diluito:
– trattamento protettivo con olio di lino, additivato di essiccativi: miscela sana della “Spring Color” e, successivamente, con cera amber.
Qui avevo introdotto l’analisi delle cause di degrado per marmi e pietra in genere.
Riprendo l’argomento ripetendo alcuni concetti espressi ed approfondendo.
Suddividiamo le tipologie di degrado in base alle sue cause:
– fisico
– chimico
– chimico-fisico
– biologico
Degrado fisico:
– microtraumi durante la lavorazione;
– uso errato della pietra (cfr. decorazioni, interferenza con altri materiali, es. ferro);
-sforzi eccessivi a cui è stato sottoposto il materiale in opera;
-effetti del vento: asportazione di parti superficiali;
-effetti della luce: può innescare reazioni chimiche di ossidazione;
-effetti dell’aria o meglio dei suoi salti termici;
–Carbonatazione: Ca(OH)2 +CO2 → CaCO3 +H2O.
Variazioni termiche -> repentini variazioni di temperatura -> rocce cattive conduttrici di calore -> superficie calda, interno freddo -> tensioni meccaniche -> sgretolamento, scagliatura, esfoliazione, rigonfiamenti.
Acqua, effetti -> solubilizzazione.
Acqua, effetti -> infiltrazione -> dilavamento.
Acqua, effetti -> subflorescenza salina -> variazione del volume interno
– il solfato di sodio aumenta il suo volume fino al 300% – sgretolamento, scagliatura, esfoliazione, rigonfiamenti.
Acqua, effetti -> subflorescenza salina -> tensioni meccaniche -> sgretolamento, scagliatura, esfoliazione, rigonfiamenti.
Acqua, effetti -> efflorescenza salina -> variazione del volume interno.
– Disgregazione: polvere o minutissimi frammenti.
– Esfoliazione: porzioni laminari sottili: sfoglie.
– Scagliatura: parti di forma irregolare e spessore consistente e non uniforme: scaglie.
– Distacco: separazione di strati o di materiale diverso (intonaco) o all’interno dello stesso materiale (pietre: scagliatura, esfoliazione).
– Efflorescenza: formazione di sali, sulla superficie.
– Rigonfiamento: sollevamento localizzato.
– Fratturazione o fessurazione: separazione materiale che implica lo spostamento reciproco delle parti.
Azione della temperatura: variazioni di temperatura e sbalzi termici posso causare sollecitazioni meccaniche, quindi provocare contrazioni ed espansioni, diverse a seconda del diverso coefficiente di dilatazione, comportando variazioni dimensionali e volumetriche.
I fenomeni che possiamo riscontrare sono: sgretolamento, scagliatura,
esfoliazione, rigonfiamento.
Azione dell’acqua:
l’acqua, interagendo con il materiale lapideo caratterizzato da una struttura porosa, nei suoi tre stati (solida, liquida, gassosa) è comunemente considerata la causa principale del degrado fisico.
Può provocare fenomeni tipo: il dilavamento, lento processo di asportazione ed erosione del materiale; subfluorescenze ed effluorescenze saline, cristallizzazione dei sali solubili, alveolizzazione.
Premessa.
Il gesso è portato a costituire legami con: ossido di ferro, carbone, oli minerali; è soggetto a dilavamento ed esfoliazione.
Azione fisica: alghe, muschi, licheni, piante.
Azione chimica: deiezioni animali, contatto con proteine e grassi.
formazione di gesso -> aumento volumetrico;
formazione di croste nere -> derivanti dalla combustione del petrolio e del carbone, gesso, composti bituminosi e ferrosi, quarzo e silicati, pollini e spore, idrocarburi pesanti che sono appiccicosi e neri.
Si presenta stratificata, per depositi successivi.
Shock termico:
assorbimento radiazioni solari -> parte superficiale pià calda di quella interna,
rugiada e condensa notturna -> parte superficiale più fredda di quella interna:
in entrambi i casi si creano tensioni interne.
Inoltre l’acqua condensata contiene tutte le sostanze inquinanti presenti nell’atmosfera, soprattutto acidi. Il tempo di contatto è molto lungo e man mano che l’acqua evapora la soluzione si concentra.
Tutti i materiali lapidei sono porosi, all’interno può essere presente H2O in tutti i suoi possibili stati di aggregazione.
Questa può penetrare nel corpo poroso per effetto capillare: i gruppi OH ̄ presenti nel materiale esercitano una forza attrattiva nei confronti dell’H2O (pressione capillare che aumunenta con il diminuire del diametro dei pori).
Se la temperatura della pietra scende fino al punto di congelamento dell’acqua, con formazione di ghiaccio, si verifica una variazione di volume, di conseguenza gli sforzi meccanici provocano microfratture.
Simile alla formazione dei cristalli di ghiaccio è il processo di cristallizzazione dei sali solubili, quando si verificano condizioni di saturazione, la diminuzione di temperatura o l’evaporazione possono portare al formarsi di cristalli salini entro gli spazi porosi.
Il fenomeno può avvenire all’interno della struttura porosa, subfluorescenze, causando esfoliazioni e distacco di croste superficiali, e sulla superficie esterna, effluorescenze.
Può essere favorita o provocata dalla presenza di sali solubili, è caratterizzata dalla presenza di cavità (alveoli), anche molto profonde, distribuite con andamento irregolare sulla superficie del materiale lapideo (naturale e/o artificiale).
Questo fenomeno è spesso spinto fino alla disgregazione e dalla polverizzazione dell’elemento lapideo.
Si manifesta in materiali molto porosi, in presenza di un elevato numero di sali solubili, con condizioni microclimatiche di elevata frequenza di fenomeni di rapida evaporazione sulle superfici lapidee esposte alle intemperie.
È un fenomeno conseguente all’azione disgregatrice esercitata dalla pressione di cristallizzazione dei sali all’interno dei pori del materiale lapideo.
Le soluzioni saline, formatesi in seguito ad assorbimento di acqua, tendono, con l’evaporazione del solvente, a cristallizzarsi aumentando il volume; le pareti dei pori sono così sottoposte a pressioni superiori alla loro capacità di resistenza e si sfaldano.
Biossido di zolfo o anidride solforosa, SO2, su mattoni e malte con presenza di alluminato tricalcico (CaO)3.Al.O3, origina solfoalluminato di calcio, 4CaO.3Al2O3.SO3 con aumento volumetrico, quindi dilatazione e disgregazione della malta.
Acido nitrico, HNO3, su muratore di mattoni porta alla solubilizzazione del calcio originando nitrato di calcio.
Ca(NO3)2; anche questo composto ha un maggiore volume, e provoca il disgregamento dei mattoni.
Croste nere, si formano in aree esposte ad inquinamento atmosferico, ma non soggette ad intenso dilavamento da parte delle acque piovane.
Il cemento è costituito da gesso sotto forma di cristalli aghiformi, vengono inglobate particelle di natura eterogenea: ossidi di Fe, cristalli di quarzo, calcite, particolato atmosferico, particelle bituminose e carboniose.
Microscopicamente è osservabile una netta separazione tra lo strato “degradato” (solfato di Calcio) e la porzione di pietra sottostante non alterata.
Si formano con la solfatazione della calcite: 2 SO2 +O2 -> 2SO3 SO3 + H20 -> H2SO4
H2SO4 + CaCO3 + H2O -> CaSO4 . 2H20 + CO2
– volume maggiore di circa il 20%
– coefficiente di espansione termico che è 5 volte superiore
– maggiore affinità per le polveri e sostanze grasse
– minore traspirabilità della pietra
con fenomeni fisici quali:
– tensioni, – rigonfiamenti,
– esfoliazioni,
– scagliature,
– decoesione,
– distacco,
– maggiore suscettibilità alla corrosione.
Aree o patine biancastre. Si formano in zone in cui, a causa del dilavamento della pioggia, i depositi di sporco vengono continuamente asportati in cui avremo presenza di calcite ricristallizzata, cioè zone di degrado localizzato o puntinatura.
Si rivelano microscopicamente come aree con deposito superficiale di CaCO3 in forma microcristallina e polverulenta di contorno irregolarmente frastagliato.
L’anidride carbonica, CO2, provoca la solubilizzazione della calcite.
La solubilità della calcite (marmo) aumenta con l’aumentare della percentuale di anidride carbonica disciolta in acqua:
CaCO3 (Carbonato di calcio, duro, insolubile) + CO2 + H2O -> Ca(HCO3)2 (bicarbonato di calcio solubile).
Il processo avviene anche al contrario. Il bicarbonato che si forma viene parzialmente asportato dalle piogge e in parte, essendo un sale instabile, riprecipita sottoforma di calcite per evaporazione dell’acqua, formando la patina.
Altre reazioni che avvengono e comportano alterazioni molecolari:
SO2 + O2 (anidride solforosa) -> SO3 + H2O -> H2SO4 (acido solforico)
H2SO4 + CaSO4 +H2O -> CaSO4 ּ solfat.Ca + 2 H2O + CO2
Nella fase iniziale si formano aree grigie, degrado superficiale o zona con contatto limitato, di aspetto e struttura intermedia tra le croste nere e le aree o patine bianche.
La pietra non presenta alterazioni macroscopiche.
Degrado microscopico meno evidente che nelle croste nere.
Tipologia tipica di zone sottoposte a moderato dilavamento.
Caratteristiche.
Spessore micrometri | CaCO3% sul peso | CaSO4 . NH2O % sul peso | |
Crosta nera | 200-1000 | 0-8 | 55-85 |
Area grigia | 100-200 | 13-52 | 25-55 |
Area bianca | < 100 | 64-86 | 0-6 |
Rame e bronzo:
L’inquinamento atmosferico, con l’aumento di anidride solforica ed anidride carbonica, SO2 e CO2 ed i relativi acidi che possono costituire, origina patine verdastre costituite dacarbonati basici e solfati basici di rame.
Sono patine insolubili, in presenza di acido solforico, H2SO4, si forma solfato pentaidrato, CuSO4·5H2O, in polvere o cristalli, comunque solubile.
Ferro:
in presenza di acido solforico, il ferro si trasforma in solfato di ferro ed acqua, Fe + H2SO4 + O2 -> FeSO4 + H2O.
Il solfato di ferro con ossigeno ed acqua, sviluppa idrossido di ferro e solfato di ferro, FeSO4 + O2 + H2O -> FeO(OH) + H2SO4.
L’idrossido di ferro è solubile.
La corrosione è velocizzata dalla presenza di cloruri1, questi facilitano la formazione della condensa e si sciolgono in essa (conduttori di seconda specie); formano clorurati, nei bronzi, si formano clorurati di rame, Cu, molto solubili.
I processi di corrosione distruggono il materiale metallico, trasformandolo e rendendolo solubile.
I due tipi principali di corrosione sono, chimico, a secco in atmosfera ossidante ad alta temperatura, oppure elettrochimico, in ambiente marino.
Con l’aumento dell’inquinamento si ha formazione di solfato di rame, Cu, molto solubile che verrà dilavato dalle piogge (assottigliamento del metallo) ed una diminuzione dei solfati basici insolubili.
Altre tipologie di corrosione sono di origine batterica e da incrostazioni biologiche influenzano direttamente le reazioni anodiche e catodiche.
Inoltre agiscono sulle pellicole di protezione superficiali dei metalli, producendo sostanze corrosive e depositi solidi. Possono essere: forme microscopiche, (batteri) e macroscopiche (alghe e crostacei).
Nei metalli interrati possono essere corrosivi: fenomeni galvanici, composizione chimica, contenuto di ossigeno e pH del suolo, sono importanti la scelta della lega e le correnti vaganti.
Il suolo contiene acidi organici derivanti dall’humus, è relativamente corrosivo per l’acciaio, lo zinco, il piombo e il rame.
L’acidità totale di un terreno simile sembra essere l’indice migliore della sua corrosività, più del semplice pH.
Alte concentrazioni di cloruro di sodio e di solfato di sodio in un terreno insufficientemente drenato lo rendono altamente corrosivo.
Un terreno poco conduttore, con un basso contenuto di umidità, sali disciolti o entrambi, è in genere meno corrosivo rispetto a un terreno buon conduttore.
Tuttavia, la sola conducibilità non è indice sufficiente della corrosività; un altro fattore rilevante è la polarizzazione anodica o catodica del suolo.
1 – Lo ione cloruro (formula chimica Cl − ) è lo ione di cloro con numero di ossidazione −1, cioè un atomo di cloro carico negativamente con un elettrone. Esso si forma normalmente sciogliendo acido cloridrico in acqua. I sali che contengono uno ione di questo tipo vengono detti cloruri.
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